mercoledì 21 settembre 2011

PJ20

Per la prima volta ho avuto la sensazione di vedere qualcosa che difficilmente si ripotrà riprodurre a casa. Già la visione al cinema di un film da' delle sensazioni ben diverse dalla visione casalinga anche solo per la concentrazione, totale e totalizzante, verso quello che passa sullo schermo.
La visione di PJ20, il documentario di una certa band che festeggia(!!!???) i 20 anni di carriera, è stato proiettato in un unico giorno in tutto il mondo, non era da perdere.
Solo per rivedere e riassaporare tutto cio' che e' stato "prima". Prima del boom, prima che arrivasse la globalizzazione (cosa buona e giusta) della diffusione via youtube di ogni frammento della loro vita.
La prima mezz'ora in cui il giovane Eddie Vedder , brufoloso, timido e impacciato , chiedere l'autografo a Layne Staley, le prime interviste ingenue e sentire i protagonisti della storia della Seattle (pre)anni 90 della follia collettiva che diventò il 'grunge' vale tutto il resto. L'importanza mai troppo enfatizzata di Andy Wood è ben spiegata da Chris Cornell che si emoziona parlandone. L'omaggio che ne rendono tutti gli ex Mother Love Bone è molto vero.La morte di Andy li fa svegliare, rompe qualcosa, li fa diventare grandi. Lì tutto è iniziato a farsi serio. Tutta questa atmosfera, neanche con un blueraydvddolbysurround, si riuscirà a ricreare a casa.
Quello che ho gustato di più di PJ20 è stato il lato 'storico'. Le ricostruzioni, i vecchi filmati, le prime esibizioni , il dopo 93/94 era gia' tutto o quasi visto e sentito.
Certo essendo un documentario sulla band , in alcuni passi c'e' dell'autoreferenzialità non indifferente, questo da Cameron Crowe non me lo sarei aspettato ma il grande omaggio al bel paese con diversi estratti dai concerti del 2006 di Verona e Pistoia conferma che la band è veramente legata all'Italia, non solo sono parole.
C'e' anche un siparietto divertente . Mike McReady spiega il susseguirsi dei batteristi nella band, in meno di un minuto, tipo comiche in bianco e nero.
Invece pessima l'ironia/giudizi/sogni e lo smenazzamento su Andy Wood che fa Eddie, soprattutto non avendolo mai nè conosciuto nè visto era l'ultimo che doveva parlare ma vabbe' alla fine gli si perdona tutto.
La figura di Neil Young "il primo adulto da cui potessi finalmente prendere ispirazione" dice Eddie, è mostruosamente enorme, aiuta la band a ritrovare un'identità dopo il folgorante successo. Poi il rapporto con Kurt Cobain (si vede un abbraccio tra i eddie e Kurt nel backstage) viene vissuto come quasi tormentato e sicuramente enfatizzato dalla sindrome beatlesrollingstones dei media.

Ce ne sono di cose da sentire , vedere e discutere, ma alla fine quello che rimane e' la musica , grandiosa, che hanno fatto e ancora fanno.
Ah c'e' anche un filmato di Bob Dylan d'annata , ma non dico altro.

Se passano lì vicino(ma anche non troppo) "Don't dare to miss them!" parafrasando il 70enne del minnesota.

Alla fine dopo una scontata Alive , sui titoli di coda si sente questa:


c'e' da dire altro?

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